Nel mondo di BELLEROFONTE: note in movimento di Sara Samorì

La felicità è come una farfalla, se la insegui non la prendi, ma se ti fermi, lei si posa su di te (Zelika)

10 febbraio 2013

Filed under: Senza Categoria — 1179sara @ 23:33

Nel mondo di BELLEROFONTE: note in movimento di Sara Samorì

Era quello l’amore, quello che provava in quel momento, quell’ansia palpitante, quella sete inestinguibile di lei, quella pace profonda dell’animo e nello stesso tempo quell’inquietudine incontrollabile, quella felicità e quella paura. Era quello l’amore di cui parlavano i poeti, Dio invincibile e spietato, forza ineluttabile, delirio della mente e dei sensi, unica possibile felicità.

— Valerio Massimo Manfredi
dal libro “Aléxandros. La trilogia”

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Alexandros e Bucefalo

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Era quello l’amore, quello che provava in quel momento, quell’ansia palpitante, quella sete inestinguibile di lei, quella pace profonda dell’animo e nello stesso tempo quell’inquietudine incontrollabile, quella felicità e quella paura. Era quello l’amore di cui parlavano i poeti, Dio invincibile e spietato, forza ineluttabile, delirio della mente e dei sensi, unica possibile felicità.

— Valerio Massimo Manfredi
dal libro “Aléxandros. La trilogia”

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Lincoln 29 gennaio 2013

Filed under: Attraverso gli occhi — 1179sara @ 01:07

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“Noi siamo balenieri”, dice Lincoln, citando appunto quel “Moby Dick” che suggerisce come la nostra esistenza sia solo un punto di partenza, una “missione” dalla quale non ci si può sottrarre, nonostante tutto, nonostante le contingenze storiche e la razionalità. “Lincoln” conserva una straordinaria potenza evocativa, potente come la sua oratoria, come il celebre discorso di Gettysburg (1863)- passato alla storia.

E’ vero, non è un film prettamente “storico”, perché non indugia, approfondendoli, alcuni passaggi decisivi che portarono alla ratifica del Tredicesimo emendamento. E’ una narrazione, però, che colpisce, perché evoca due protagonisti, storici, spesso dimenticati dall'”attualità”: il Popolo e la Democrazia. Soprattutto, dimenticati da chi “fa” politica.

“Lincoln”, invece, ci spinge a considerare un altro punto di vista, a mio avviso: che il più fine politico deve giocoforza fare i conti con i propri principi, da un lato, e le scelte, gli “obblighi ufficiali”, dall’altra.

I principi, però, fanno parte della realtà (e dell’attualità) e l’etica, per un politico, sta tutta nella sua capacità di tradurre i principi in scelte. E questa, amici miei, è una dimensione tipicamente  umana, ma che fa parte della complessità, per ciascuno di noi, di portare avanti le proprie idee. Ovunque sia. Come fece Lincoln, pagando con la vita.

Consigliatissimo.

Sara Samorì

 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA, 1849 8 febbraio 2012

Filed under: Storicamente... — 1179sara @ 22:55

 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA, 1849

PRINCIPII FONDAMENTALI

I.

La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.

II.

Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

III.

La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

IV.

La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.

V.

I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.

VI.

La piú equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico dello Stato è la norma del riparto territoriale della Repubblica.

VII.

Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.

VIII.

Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.

Titolo I

DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI

Art. 1.

— Sono cittadini della Repubblica:

Gli originarii della Repubblica;

Coloro che hanno acquistata la cittadinanza per effetto delle leggi precedenti;

Gli altri Italiani col domicilio di sei mesi;

Gli stranieri col domicilio di dieci anni;

I naturalizzati con decreto del potere legislativo.

Art. 2.

— Si perde la cittadinanza:

Per naturalizzazione, o per dimora in paese straniero con animo di non piú tornare;

Per l’abbandono della patria in caso di guerra, o quando è dichiarata in pericolo;

Per accettazione di titoli conferiti dallo straniero;

Per accettazione di gradi e cariche, e per servizio militare presso lo straniero, senza autorizzazione del governo della Repubblica; l’autorizzazione è sempre presunta quando si combatte per la libertà d’un popolo;

Per condanna giudiziale.

Art. 3.

— Le persone e le proprietà sono inviolabili.

Art. 4.

— Nessuno può essere arrestato che in flagrante delitto, o per mandato di giudice, né essere distolto dai suoi giudici naturali. Nessuna Corte o Commissione eccezionale può istituirsi sotto qualsiasi titolo o nome.

Nessuno può essere carcerato per debiti.

Art. 5.

— Le pene di morte e di confisca sono proscritte.

Art. 6.

— Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e modi determinati dalla legge.

Art. 7.

— La manifestazione del pensiero è libera; la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva.

Art. 8.

— L’insegnamento è libero.

Le condizioni di moralità e capacità, per chi intende professarlo, sono determinate dalla legge.

Art. 9.

— Il segreto delle lettere è inviolabile.

Art. 10.

— Il diritto di petizione può esercitarsi individualmente e collettivamente.

Art. 11.

— L’associazione senz’armi e senza scopo di delitto, è libera.

Art. 12.

— Tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate dalla legge.

Art. 13.

— Nessuno può essere astretto a perdere la proprietà delle cose, se non in causa pubblica, e previa giusta indennità.

Art. 14.

— La legge determina le spese della Repubblica, e il modo di contribuirvi.

Nessuna tassa può essere imposta se non per legge, nè percetta per tempo maggiore di quello dalla legge determinato.

Titolo II

DELL’ORDINAMENTO POLITICO

Art. 15.

— Ogni potere viene dal popolo. Si esercita dall’Assemblea, dal Consolato, dall’Ordine giudiziario.

Titolo III

DELL’ASSEMBLEA

Art. 16.

— L’Assemblea è costituita da Rappresentanti del popolo.

Art. 17.

— Ogni cittadino che gode i diritti civili e politici a 21 anno è elettore, a 25 è eleggibile.

Art. 18.

— Non può essere rappresentante del popolo un pubblico funzionario nominato dai consoli o dai ministri.

Art. 19.

— Il numero dei rappresentanti è determinato in proporzione di uno ogni ventimila abitanti.

Art. 20.

— I Comizi generali si radunano ogni tre anni nel 21 aprile.

Il popolo vi elegge i suoi rappresentanti con voto universale, diretto e pubblico.

Art. 21.

— L’Assemblea si riunisce il 15 maggio successivamente all’elezione.

Si rinnova ogni tre anni.

Art. 22.

— L’Assemblea si riunisce in Roma, ove non determini altrimenti, e dispone della forza armata di cui crederà aver bisogno.

Art. 23.

— L’Assemblea è indissolubile e permanente, salvo il diritto di aggiornarsi per quel tempo che crederà.

Nell’intervallo può essere convocata ad urgenza sull’invito del presidente co’ segretari, di trenta membri, o del Consolato.

Art. 24.

— Non è legale se non riunisce la metà, piú uno dei suoi rappresentanti.

Il numero qualunque de’ presenti decreta i provvedimenti per richiamare gli assenti.

Art. 25.

— Le sedute dell’Assemblea sono pubbliche.

Può costituirsi in comitato segreto.

Art. 26.

— I rappresentanti del popolo sono inviolabili per le opinioni emesse nell’Assemblea, restando inerdetta qualunque inquisizione.

Art. 27.

— Ogni arresto o inquisizione contro un rappresentante è vietato senza permesso dell’Assemblea, salvo il caso di delitto flagrante.

Nel caso di arresto in flagranza di delitto, l’Assemblea che ne sarà immediatamente informata, determina la continuazione o cessazione del processo.

Questa disposizione si applica al caso in cui un cittadino carcerato fosse eletto rappresentante.

Art. 28.

— Ciascun rappresentante del popolo riceve un indennizzo cui non può rinunziare.

Art. 29.

— L’Assemblea ha il potere legislativo: decide della pace, della guerra, e dei trattati.

Art. 30.

— La proposta delle leggi appartiene ai rappresentanti e al Consolato.

Art. 31.

— Nessuna proposta ha forza di legge, se non dopo adottata con due deliberazioni prese all’intervallo non minore di otto giorni, salvo all’Assemblea di abbreviarlo in caso d’urgenza.

Art. 32.

— Le leggi adottate dall’Assemblea vengono senza ritardo promulgate dal Consolato in nome di Dio e del popolo. Se il Consolato indugia, il presidente dell’Assemblea fa la promulgazione.

Titolo IV

DEL CONSOLATO E DEL MINISTERO

Art. 33.

— Tre sono i consoli. Vengono nominati dall’Assemblea a maggioranza di due terzi di suffragi.

Debbono essere cittadini della repubblica, e dell’età di 30 anni compiti.

Art. 34.

— L’ufficio dei consoli dura tre anni. Ogni anno uno dei consoli esce d’ufficio. Le due prime volte decide la sorte fra i tre primi eletti.

Niun console può essere rieletto se non dopo trascorsi tre anni dacché uscí di carica.

Art. 35.

— Vi sono sette ministri di nomina del Consolato:

1. Degli affari interni;

2. Degli affari esteri;

3. Di guerra e marina;

4. Di finanze;

5. Di grazia e giustizia;

6. Di agricoltura, commercio, industria e lavori pubblici;

7. Del culto, istruzione pubblica, belle arti e beneficenza.

Art. 36.

— Ai consoli sono commesse l’esecuzione delle leggi, e le relazioni internazionali.

Art. 37.

— Ai consoli spetta la nomina e revocazione di quegli impieghi che la legge non riserva ad altra autorità; ma ogni nomina e revocazione deve esser fatta in consiglio de’ ministri.

Art. 38.

— Gli atti dei consoli, finché non sieno contrassegnati dal ministro incaricato dell’esecuzione, restano senza effetto. Basta la sola firma dei consoli per la nomina e revocazione dei ministri.

Art. 39.

— Ogni anno, ed a qualunque richiesta dell’Assemblea, i consoli espongono lo stato degli affari della Repubblica.

Art. 40.

— I ministri hanno il diritto di parlare all’Assemblea sugli affari che li risguardano.

Art. 41.

— I consoli risiedono nel luogo ove si convoca l’Assemblea, né possono escire dal territorio della Repubblica senza una risoluzione dell’Assemblea sotto pena di decadenza.

Art. 42.

— Sono alloggiati a spese della Repubblica, e ciascuno riceve un appuntamento di scudi tremila e seicento.

Art. 43.

— I consoli e i ministri sono responsabili.

Art. 44.

— I consoli e i ministri possono essere posti in stato d’accusa dall’Assemblea sulla proposta di dieci rappresentanti. La dimanda deve essere discussa come una legge.

Art. 45.

— Ammessa l’accusa, il console è sospeso dalle sue funzioni. Se assoluto, ritorna all’esercizio della sua carica, se condannato, passa a nuova elezione.

Titolo V

DEL CONSIGLIO DI STATO

Art. 46.

— Vi è un consiglio di stato, composto da quindici consiglieri nominati dall’Assemblea.

Art. 47.

— Esso deve essere consultato dai Consoli, e dai ministri sulle leggi da proporsi, sui regolamenti e sulle ordinanze esecutive; può esserlo sulle realzioni politiche.

Art. 48.

— Esso emana que’ regolamenti pei quali l’Assemblea gli ha dato una speciale delegazione. Le altre funzioni sono determinate da una legge particolare.

Titolo VI

DEL POTERE GIUDIZIARIO

Art. 49.

— I giudici nell’esercizio delle loro funzioni non dipendono da altro potere dello Stato.

Art. 50.

— Nominati dai consoli ed in consiglio de’ ministri sono inamovibili, non possono essere promossi, né trasclocati che con proprio consenso, né sospesi, degradati, o destituiti se non dopo regolare procedura e sentenza.

Art. 51.

— Per le contese civili vi è una magistratura di pace.

Art. 52.

— La giustizia è amministrata in nome del popolo pubblicamente; ma il tribunale, a causa di moralità, può ordinare che la discussione sia fatta a porte chiuse.

Art. 53.

— Nelle cause criminali al popolo appartiene il giudizio del fatto, ai tribunali l’applicazione della legge. La istituzione dei giudici del fatto è determinata da legge relativa.

Art. 54.

— Vi è un pubblico ministero presso i tribunali della Repubblica.

Art. 55.

— Un tribunale supremo di giustizia giudica, senza che siavi luogo a gravame, i consoli ed i ministri messi in istato di accusa. Il tribunale supremo si compone del presidente, di quattro giudici piú anziani della cassazione, e di giudici del fatto, tratti a sorte dalle liste annuali, tre per ciascuna provincia.

L’Assemblea designa il magistrato che deve esercitare le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale supremo.

È d’uopo della maggioranza di due terzi di suffragi per la condanna.

Titolo VII

DELLA FORZA PUBBLICA

Art. 56.

— L’ammontare della forza stipendiata di terra e di mare è determinato da una legge, e solo per una legge può essere aumentato o diminuito.

Art. 57.

— L’esercito si forma per arruolamento volontario, o nel modo che la legge determina.

Art. 58.

— Nessuna truppa straniera può essere assoldata, né introdotta nel territorio della Repubblica, senza decreto dell’Assemblea.

Art. 59.

— I generali sono nominati dall’Assemblea sopra proposta del Consolato.

Art. 60.

— La distribuzione dei corpi di linea e la forza delle interne guarnigioni sono determinate dall’Assemblea, né possono subire variazioni, o traslocamento anche momentaneo, senza di lei consenso.

Art. 61.

— Nella guardia nazionale ogni grado è conferito per elezione.

Art. 62.

— Alla guardia nazionale è affidato principalmente il mantenimento dell’ordine interno e della costituzione.

Titolo VIII

DELLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

Art. 63.

— Qualunque riforma di costituzione può essere solo domandata nell’ultimo anno della legislatura da un terzo almeno dei rappresentanti.

Art. 64.

— L’Assemblea delibera per due volte sulla domanda all’intervallo di due mesi. Opinando l’Assemblea per la riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i comizii generali, onde eleggere i rappresentanti per la costituente, in ragione di uno ogni 15 mila abitanti.

Art. 65.

— L’Assemblea di revisione è ancora assemblea legislativa per tutto il tempo in cui siede, da non eccedere tre mesi.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 66.

— Le operazioni della costituente attuale saranno specialmente dirette alla formazione della legge elettorale, e delle altre leggi organiche necessarie all’attuazione della costituzione.

Art. 67.

— Coll’apertura dell’Assemblea legislativa cessa il mandato della costituente.

Art. 68.

— Le leggi e i regolamenti esistenti restano in vigore in quanto non si oppongono alla costituzione, e finché non sieno abrogati.

Art. 69.

— Tutti gli attuali impiegati hanno bisogno di conferma.

Il Presidente

G. Galletti

I Vice-Presidenti

A. Saliceti – E. Alloccatelli

I Segretari

G. Pennacchi – G. Cocchi

A. Fabretti – A. Zambianchi

 

La solitudine 31 gennaio 2012

Filed under: Senza Categoria — 1179sara @ 23:13

La solitudine

 

bisogna essere molto forti per amare la solitudine

bisogna avere buone gambe e una resistenza fuori del comune

non si deve rischiare raffreddore, influenza o mal di gola

non si devono temere rapinatori o assassini

se tocca camminare per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera bisogna saperlo fare senza

accorgersene

da sedersi non c’è

specie d’inverno

col vento che tira sull’erba bagnata,

non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio, oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte senza doveri o limiti di qualsiasi genere.

Il sesso è un pretesto.

Per quanti siano gli incontri

non sono che momenti della solitudine

più caldo e vivo è il corpo gentile che unge di seme e se ne va, più freddo e mortale è intorno il diletto

deserto

è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso, non il sorriso innocente o la torbida

prepotenza di chi poi se ne va

egli si porta dietro una giovinezza enormemente giovane

e in questo è disumano, perché non lascia tracce, o meglio, lascia una sola traccia che è sempre la

stessa in tutte le stagioni.

Un ragazzo ai suoi primi amori altro non è che la fecondità del mondo.

È il mondo che così arriva con lui

appare e scompare, come una forma che muta.

Restano intatte tutte le cose, e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più

l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito.

Dunque la solitudine è ancora più grande se una folla intera attende il suo turno:

cresce infatti il numerodelle sparizioni

–  l’andarsene è fuggire –

 e il seguente incombe sul presente come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.

 Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,

 specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena, e per te non è mutato niente

 allora per un soffio non urli o piangi

 e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza, e forse un po’ di fame.

Enorme, perché vorrebbe dire che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe esser più soddisfatto,

e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine è la solitudine vera, quella che non

 puoi accettare? Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,

 che valga una camminata senza fine per le strade povere,

dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.

 

Pier Paolo Pasolini

 

La Simbologia dell’Acqua 5 Maggio 2011

Filed under: Attraverso gli occhi — 1179sara @ 16:32

I quattro elementi (cinque nella tradizione cinese: ma anche il pensiero occidentale conosce una “quintessenza” con ruolo di “centro”)sono alla base di una immaginazione volta ad assimilare il reale. Per questo essi sono alla base di molti processi iniziatici; note a tutti sono le quattro prove alle quali Afrodite costringe Psiche e che conducono la fanciulla ad un più alto livello dell’essere, cui anche si innalzerà il narratore Apuleio che adombra e poi esplicita la propria iniziazione isiaca.

Nel pensiero occidentale – greco od ebraico o nella speculazione alchemica – i quattro elementi si legano analogicamente a tutte le simbologie del quattro: le quattro proprietà (freddo, umido, secco, caldo); i quattro temperamenti (melanconico, flemmatico, collerico e sanguigno); le quattro stagioni; le quattro fasi del giorno; le quattro età dell’uomo; le quattro fasi del processo alchemico; i quattro colori fondamentali.

Adamo fu creato dai quattro elementi, ma anche dalla polvere presa dai quattro angoli del mondo; e di quattro colori.

Nella speculazione dei presocratici i quattro elementi sono all’origine del mondo; in particolare l’acqua è all’origine di tutto per Orfeo e per Talete. 1 quattro elementi sono in relazione tra loro, cioè possono esser derivati l’uno dall’altro nella mobilità tipica del pensiero simbolico che procede per analogie.

Platone ne dà, nel Timeo, una diffusa trattazione geometrico-simbolica, e li divide in 3 + 1 (acqua-aria-fuoco deducibili tra loro, e terra come elemento a sé stante) analogamente a quanto fa il pensiero cabbalistico dal Sepher Yetzirah in poi. Particolarmente enigmatica, l’apertura del Timeo (“Uno, due, tre: e dov’è, caro Timeo, il quarto… ?”) può aprire una sottile speculazione alchemica (cfr. Jung) e ricorda l’assioma della Profetessa Maria.

Qui di seguito tratteremo dell’acqua, l’elemento cioè che, tra i quattro, è il più presente nella speculazione simbolica; perché esso, più di ogni altro, si carica di significazioni cosmiche. Esso è, per meglio dire, elemento cosmogonico per eccellenza: è principio di vita che penetra tutte le cose della natura.

1- il ciclo vitale
La materia vivente iniziò dall’acqua la sua avventura nel nostro pianeta; nel liquido (amniotico) vive l’uomo la sua formazione iniziale; l’acqua costituisce la quasi totalità della materia vivente. Logico quindi che, a monte anche del pensiero razionale, già nell’albeggiare del pensiero simbolico l’uomo percepisse, per immediata intuizione, la fondamentale importanza dell’acqua nel ciclo vitale. L’acqua divenne così oggetto di una enorme speculazione, e ai suoi modi di apparire furono legate infinite ierofanie presso tutti i popoli.

In particolare, presso i popoli che si affacciano sul Mediterraneo dai loro paesi prevalentemente aridi, le acque dolci, indispensabili e benefiche, generarono sempre stupore, miracolo e poesia. Le più belle espressioni tramandateci sono legate al verdeggiare della natura attorno alle sorgenti o alla sacralità dei pozzi, assi del mondo, microcosmi che legano il cielo agli inferi.

Al contrario, presso i popoli del Nord-Europa l’acqua, impregnando il paesaggio nelle sue valenze lacustri e paludose; legandosi al freddo e al grigio pluviale del clima; assumendo toni cupi e insondabili; appare associata soprattutto ai temi della disgregazione della materia, dell’inganno, del mondo infero grigio e umido. Anche nel Mediterraneo tuttavia esiste una valenza infera e di morte legata all’acqua: sono le acque del mare che per millenni terrorizzano le popolazioni con la loro immensità, le loro furie, le misteriose e inquietanti isole lontane delle quali si favoleggia.

Il mare, sede di esseri mostruosi, è impuro tanto per gli ebrei che per gli egiziani. Il mondo greco rurale ancora ne diffida nel momento in cui Esiodo racconta le Opere e i Giorni. Il mare, con le sue incognite e i suoi inganni, è il teatro dei lunghi itinerari dell’eroe in cerca di sé stesso, e il rifugio di una antichissima e imprevedibile divinità ctonia: Poseidone.

2 – Le acque della morte
Questa misteriosità del mare e i suoi terrori legano le acque al tema della morte. E’ dall’Oceano, in un gorgo pauroso ove sarà condotta Psiche nelle sue prove iniziatiche, che nascono le acque dello Stige, nefaste anche agli Dei Olimpici se spergiuri. Gilgamesh, nel suo viaggio alla “Foce dei Fiumi”, in cerca dell’erba dell’immortalità, dovrà attraversare senza toccarle le livide “acque della morte”. La doppia valenza di morte e vita e il simbolo di rigenerazione – presente in ogni tradizione iniziatica – pongono tuttavia nell’Oceano, o comunque legano all’acqua, il mito dei Paradisi terrestri. Il giardino degli Dei dell’epopea di Gilgamesh è in riva al mare, dove vive la fanciulla Siduri dispensatrice del vino; nell’Oceano, alla “Foce dei fiumi”, vive Utnapishtin, il vecchio saggio superstite dal Diluvio che ottenne l’immortalità. Lì, sul fondo del mare, è l’erba della vita che dona l’eterna giovinezza.

Misteriosità del mare significa misteriosità degli esseri mostruosi e imprevedibili che vi si celano: ancor oggi molte barche mediterranee recano a prora l’occhio apotropaico antenato della polena.

Il mare è popolato di pesci e serpenti, animali freddi e primitivi che si equivalgono sul piano simbolico e sul cui significato salvifico e sapienziale – nella doppia valenza illuminatrice o diabolica, fecondante o mortifera – si aprono interminabili capitoli del pensiero simbolico. La barca di Urshanabi, che trasporta Gilgamesh, ha prora di serpente. Un serpente esce dalla fonte a cui beve Gilgamesh e gli ruba l’erba dell’eterna giovinezza: così cambierà pelle. Il mostruoso Leviatano occupa il fondo del mare nella leggenda ebraica. Nel ventre della balena si rigenera spiritualmente Giona.

Nel mito greco Poseidone, che presiede a tutte le acque del mare e della terra inizialmente intese come connesse tra loro, è divinità arcaica preomerica. Poteidan ed Ennosigeo, egli è arcaico sposo della Madre Terra; il suo mito è legato al cavallo – incarnazione archetipica dell’istinto – che lo individua come individua Hera-Ippia. Le oscure forze primordiali trasmesse dall’acqua al cavallo riemergono nel mito di Pegaso nato dal collo reciso della Gorgone e domato da Athena, dea della ragione. E il cavallo Pegaso si rilega all’acqua facendo scaturire la fonte Ippocrene, sacra alle Muse figlie di Mnemosine: la Memoria, la cui acqua l’acqua dei lago della Memoria – dona, nel mito orfico, vita eterna agli iniziati. La vera vita trae origine da un legame profondo con la vita sepolta.

3 – Cancro, Scorpione e Pesci
Morte e vita si congiungono nell’unità della totalità: se l’acqua della Memoria dà la vera vita, l’acqua del fontanile accanto al cipresso, l’acqua di Lete, dà l’oblio e introduce al regno dei morti. I laghi sono occhio del mondo infero: Dioniso è Limneo e Dioniso violerà gli Inferi, divenendo poi fulcro di culti misterici di morte-rinascita. In Grecia e nel mondo mediterraneo i laghi paludosi celano la porta degli inferi: così si spiega il lago Stinfale legato all’impresa di Eracle (altro violatore degli inferi), all’Idia di Lerna, alle Sirene e, secondo il sincretista Macrobio, al segno astrologico del Cancro. Del resto, per i Greci la palude è simboleggiata dal labirinto, il cui centro è meta del viaggio iniziatico. La palude ha doppia valenza: nel suo fango vengono gettati, nel Nord-Europa, i bastardi, i deformi e i colpevoli, affinchè esso li rigeneri nella pullulante vita che, in Asia, fa della palude il simbolo della fecondità. Nella palude nasce, è nutrito, è protetto l’egizio Horus, reincarnazione dello smembrato Osiride.

Tutte queste acque sono riassunte nella grandiosa architettura del pensiero astrologico. Se il Cancro è acqua originaria, acqua madre, limpida e profonda acqua di gestazione (che ha il suo parallelo nel Serpente dell’astrologia indiana, nel freddo, nell’umido, nel notturno e nel femminile), lo Scorpione è l’acqua mortifera e disgregatrice che tuttavia prepara la rinascita. Sotto il suo segno avviene la semina alchemica e inizia la putrefactio; anche sotto il suo segno era la semina del grano nel mese sacro a Demetra, e al suo segno corrisponde il 17° giorno del mese di Atyr, quando Osiride fu ucciso con simbologia lunare. L’acqua si salda cosi con le divinità del ciclo lunare e del ciclo vegetale. E novembre sarà, per la Chiesa Cattolica, il mese dei Morti e dei Santi che ripetono, con la loro duplicità, il significato acquatico dello Scorpione.

Quanto ai Pesci, simbolo di dissolvimento e di rinascita spirituale, basti, ad illustrare il segno, il sorgere dell’archetipo negli anni della venuta di Cristo, che camminò sulle acque.

4 – L’acqua della vita
Il simbolismo delle acque rivela l’intuizione del Cosmo come unità. Nel pensiero mitico, le cosmogonie pongono le acque al principio e alla fine di avvenimenti di portata cosmica; il Diluvio segna la morte-rinascita dell’umanità, evitandone la decadenza a forme sub-umane per causa dei peccati.

Questa doppia valenza è espressa dal rituale dei Battesimo e dal significato rigeneratore del bagno: i simulacri di Afrodite, Hera, Athena, Cibele, venivano annualmente immersi; e così pure la Madonna e il Crocifisso, in relazione anche all’implorazione della pioggia.

Le cosmogonie presentano abitualmente le acque come primordio e la pioggia come sperma. Per Omero, Oceano era all’origine di tutto, era acqua maschile così come Teti era acqua femminile, entrambi figli della Notte. La cosmogonia babilonese vede la fusione iniziale di Apsu e Tiamat – l’ebraica Teom – acque superiori e inferiori, maschili e femminili. Così nelle leggende ebraiche derivate. Presso molti popoli il ciclo cosmogonico inizia con la separazione anche violenta di alto e basso, cielo e terra, acque maschili e femminili. YHWH è un vecchio Dio della pioggia che tiene moltissimo a imporre il proprio dominio sulle acque inferiori: e Zeus ha il fulmine, così come tonanti sono gli dei vittoriosi all’inizio dell’epoca storica, post-neolitica, che evolve da culti lunari e ctonii a culti solari. Zeus feconda Danae come pioggia e, secondo Eschilo, Urano fecondava Gea con la pioggia; quando la falce lunare di Kronos dividerà i genitori dando origine al tempo, è ancora nell’acqua che fruttifica lo sperma del fallo reciso, e nasce Afrodite.

L’acqua è vita anche in senso spirituale: chi beve l’acqua di Cristo non avrà mai sete. Per Tertulliano l’acqua fu prima sede dello spirito divino. Ma l’acqua è morte per S. Agostino. Morte e vita, cioè nuova vita: l’acqua, intuizione di unità, è legata alla profezia. Dal Mare Eritreo sorge il babilonese uomo-pesce Oannes, che insegna agli uomini la scrittura e l’astrologia. I Greci provavano terrore e attrazione per l’acqua, che disintegra e germina dando follia e profezia. Esiodo raccomanda di pregare prima di attraversare un fiume. A mezzogiorno si evitavano fontane, fiumi, sorgenti, umidità legate a grotte e ombre d’alberi: ivi regnavano ambigue le Ninfe.

Nei miti celtici, caldaie, pentole e calici magici donatori di immortalità, sono rinvenuti in fondo al mare o ai laghi. Hera-lppia legata a Poseidone, equivalente di Gea antica sposa di Urano, ha occhi bovini, ha corna lunari, è vacca così come Urano, il cielo, è toro, tuono, pioggia. Hera è venerata con Zeus Naios (o “della sorgente”) presso la sorgente Dodona, ove ha nome Diona, femminile di Zeus, equivalente a Diana, dea lunare; e ivi è dea del cielo luminoso e dell’acqua.

Hera fu dea lunare iconologicamente eguale a Iside-rugiada e alla Madonna.

L’acqua-morte è data ai morti perchè li “uccide” placandone la sete; l’acqua-vita riporta in vita il pesce secco nella 18a Sura del Corano e nella leggenda itanica di Alessandro Magno nel Paese delle Tenebre,

5 – L’Albero e il Giardino
L’acqua, nel pensiero simbolico, non è legata soltanto alla Luna, ma anche ad altri due simboli di fondamentale importanza: l’albero e il giardino. Osiride dai tre falli è acqua di sorgente ma anche albero: sacrilego è chiudere una sorgente o tagliare un albero da frutto. Acqua e albero uniti sono cantati in alcuni dei più bei passi delle Upanishad; sono presenti nelle visioni profetiche di Ezechiele e nell’Apocalisse.

Nel pensiero ebraico il Re pianta l’albero dei mondi dopo aver trovato una sorgente, che è la Torah. Hokma, acqua di Dio, irriga l’albero i cui frutti sono le anime dei giusti. Tanto nelle Upanisbad quanto nella speculazione ebraica, questi alberi hanno le radici in alto. Il 16° Inno dei Rotoli del Qumran offre una stupenda rappresentazione simbolica e poetica: alberi acquatici crescono alti sulla palude ma solo gli alberi di vita, che ricevono l’acqua pura dei canali, sopravviveranno. L’acqua irrigua dei canali ha un ruolo importantissimo nella speculazione ebraica, che trae le immagini dalla vita delle oasi: canali d’acqua irrigua sono le 32 vie della saggezza; acqua fluisce per i canali che uniscono le dieci Sefirot.

Acqua e giardino appaiono legati, anche materialmente, nelle famose costruzioni dell’antichità il cui significato e la cui topografia erano sempre simbolici: giardini romani, arabi, persiani e giapponesi, erano immagine del mondo e del Paradiso Terrestre. Avevano alberi fruttiferi, piante odorose, correnti d’acqua viva. Ricchi di acqua viva sono i giardini del Paradiso coranico.

Il giardino delle Esperidi, sede nuziale di Hera e Zeus, è luogo di eterna vita, possiede l’albero dai pomi d’oro custodito dal serpente, ed era in un’isola dell’Oceano. L’Eden aveva quattro fiumi che lo irrigavano perpetuamente, ed era un giardino. Il giardino, con significato simbolico nella lirica persiana e trovadorica, ha, in Persia, una vasca-specchio al centro; attorno a questo centro esso si svolge con complessi significati esoterici. La fontana è al centro del giardino arabo, con significato simbolico. Al giardino, come all’albero, l’acqua si lega essenzialmente come fonti e fiumi, oltreché come vasca-specchio.

L’acqua del fiume manifesta sempre la possibilità universale; discenderne la corrente sino all’oceano significa tornare all’indifferenziato, mentre il risalire alla sorgente simboleggia il ritorno alla sorgente divina. Il suo attraversamento simboleggia un cambiamento di stato.

La fontana è l’acqua viva che sorge al centro del Giardino, ai piedi dell’Albero della Vita, nel Paradiso Terrestre. Le sue acque sono ambrosia, soma, eterna giovinezza, elisir di vita: e sgorgano ai piedi di un albero. Quest’acqua non è per tutti, è custodita da draghi e deve esser conquistata con prove iniziatiche: di queste immagini sono ricche fiabe e leggende. Anche il drago di Andromeda usciva dall’acqua, e Perseo lo uccide con la spada ricurva che uccide la Gorgone e ricorda la falce di Kronos.

La fede è acqua che sgorga nell’anima del credente per Origene; e per S. Ambrogio il Paradiso e il fiume della Sapienza sono il terreno dell’anima.

6 – Congiunzione alchemica
La fanciulla nel giardino tra le acque, la fanciulla custodita dal mostro marino, il viaggio dell’eroe tra le acque popolate dai mostri, conducono al tema dell’acqua come simbolo dell’anima. All’anima si lega il mito di Arianna, figura di Afrodite terrestre e di anima che guida l’eroe al centro del labirinto iniziatico. Nelle favole, in fondo ai laghi vi son castelli incantati dove gli eroi compiono viaggi iniziatici e trovano tesori o principesse, mentre le fontane danno vita a immagini di fanciulle. A partire dal patrimonio dei simboli e dal pensiero iniziatico, la psicologia junghiana ha esplorato un campo immenso di rappresentazioni che restituiscono l’immagine dell’anima e delle sue vicissitudini attraverso visioni di acqua terrifiche o pacificanti.

Acque putride, torbide alluvioni devastanti, torrenti,piogge e diluvi, allagamenti, fiumi maestosi, mari immensi, profondità marine o lacustri inesplorate, acque limpide e azzurre, glauche, trasparenti e serene, acque di fontane e di sorgive; appaiono tutte rappresentazioni dell’anima e del suo rapporto con il nostro io, che anela all’acqua e alla fanciulla, cioè all’anima, nella ricerca dell’integrazione. Perché è l’anima che guida verso lo spirito.

La congiunzione degli opposti – acqua e fuoco o anche re e regina, tema guida della speculazione alchemica – appare qui in tutta la inquietante doppiezza del simbolo. Al processo alchemico l’acqua è già indispensabile all’inizio come rugiada ristoratrice, cioè acque celesti purificatrici. La rugiadosa Iside era la nera “Chernia” che dà il nome all’alchimia. E l’elemento animico, il calore del desiderio, è anche importante per avviare il processo, sino al suo primo approdo nella “fontana dell’amore”. L’acqua è detta “madre”,cioè “mia madre che è il mio nemico”, perché l’acqua divina uccide i vivi e resuscita i morti. Questa acqua divina (ùdor thèion) è acqua di zolfo, cioè Mercurio, con tutta la duplicità dello sfuggente e proteiforme elemento (anche Proteo era divinità marina, viveva in una grotta e aveva il dono profetico).

L’opus alchemico, come sforzo di raggiungere l’unione con valori archetipici suscitando il simbolo, nascondeva il rischio della follia: gli alchimisti ne avvertivano accennando al rischio di affogare. La congiunzione degli opposti avviene dentro fontane miracolose; distillando l’acqua resta il dragone, che, mordendosi la coda, diventa simbolo di totalità.

La aqua permanens ha virtù trasmutativa (come il Mercurio), ed è anche la cristiana “acqua di grazia” o aqua doctrinae o spititus veritatis; acqua che è vita e morte per Cirillo di Gerusalemme.

L’acqua è la “arcana sostanza”, è “Adamo”, forma l’idrolito o pietra d’acqua; ma il Mar Rosso è acqua di morte per i non consci, secondo i Peratici, per i quali Kronos era acqua in quanto potere di distruzione (tema questo, fondamentale in alchimia). E per gli alchimisti esiste anche un’acqua “tifonica”, sterile, dove non alligna la vita. Così come, per Esiodo, Gea partoriva acque feconde o sterili a seconda che il concepimento avvenisse o no sotto gli auspici di Eros.

Per gli alchimisti l’acqua è l’opposto della mente astratta; è anche sangue (oltrechè vino) e col sangue uscì dal costato di Cristo per colmare quel Graal che è poi uno dei vasi celtici sottomarini. L’acqua si lega poi di nuovo all’albero dando rtigine alla arbor phi1osophica. Il legame acqua-anima torna di nuovo in alchimia con la figura di Melusina, una sirena: le sirene, per i Greci figlie di Acheloo, il toro-pesce figlio di Oceano e, come lui, origine delle acque; figlie forse anche di Persefone; sono per Enoch figlie degli angeli caduti.

Poiché per Paracelso il Paradiso è sott’acqua, egli ritiene che lì rimasero le Melusine prima di venire a vivere nel sangue umano, simbolo primitivo dell’anima, parte del regno delle acque o Ninfididico. Secondo Paracelso, Melusina nasce nella balena di Giona, ed è figlia di una ninfa sedotta da Belzebù. Ma Melusina è anche protagonista di delicate e suggestive leggende medievali e romantiche: è figura di donna-pesce bellissima che consola e inganna, guida alla giusta scelta e innamora di sè, appare e scompare dalle profondità dei laghi nelle foreste incantate. Melusina appare in concomitanza di grandi eventi: supremo significato e insensatezza è antenata di Margherita ed Elena del Faust.

E’ parente dell’ingannevole Morgana (che significa “nata dal mare”), di Afrodite e di Ishtar. Ishtar era rappresentata in epoca ellenistica come sirena a due code, cioè come Melusina; ed era legata alle feste nuziali di Maggio. A Maggio avvengono le nozze mistiche o chimiche degli alchimisti: e l’anima si ricongiunge con lo spirito.

7 – L’eterno fluire
La speculazione sullo Spirito trova nell’acqua il proprio elemento simbolico con la tradizione cabbalistica narbonese e geronese. La Kabbalah e il sistema delle Sefirot rappresentano, per la mistica ebraica, un mezzo per contemplare e ordinare in via intuitiva una realtà superiore, inaccessibile per via razionale. Nel libro Babir, le tre consonanti BRK consentono di costruire l’equivalenza tra Berakà (benedizione) e Berekà (stagno, accumulo d’acqua); da allora il flusso della vita nel suo rapporto col divino (dall’alto in basso o dal basso in alto) diviene pienamente simboleggiato da una circolazione di acque.

Malkut, la sposa, la Shekinah, oggetto dei più poetici appellativi tanto quanto la fidanzata del Cantico dei Cantici, è allora “orto irriguo”, ed è irrigata o fecondata da Tiferet tramite Yesod, la fontana che non inaridisce, la sorgente delle anime, il membro virile. E Tiferet fa da tramite tra l’alto e il basso dell’albero sefirotico come Sciamayim, cioè cielo, cioè acqua di fuoco (tale è sempre la spermatica pioggia); cabbalisticamente esh più mayim, fuoco più acqua, Dio nel ruolo di demiurgo. E Tiferet – fontana e radice – è tale perché promanante da Geburah, il rigore di fuoco, e da Hesed, acqua di Grazia e origine del mondo. Come nel Genesi il mondo origina dalle acque, così dunque in teosofia esso origina dalle acque di Hesed, che è perciò simbolo di Abramo, posto a fondamento dell’edificio del mondo inferiore.

Tiferet e Yesod sono fontane o sorgenti inesauribili perché l’immensità inesauribile delle acque di Hesed riceve alimento, tramite Bina che dà la forma al mondo in gestazione, dalle inesauribili acque primordiali del mare o bacino superiore di Hokma, Spirito Santo o Sophia. Questa inesauribilità delle acque di Hokma è celata a sua volta nella peculiarità del pensiero ebraico, che vede il mondo come volontaristico atto creatore di Dio; onde vi è sempre del nuovo al di sopra del Sole, ed il nuovo è dato dall’eterno fluire della sorgente creatrice in alto, la cui acqua colma il bacino di Hokma fluendone poi come benedizione di Sefira in Sefira ad irrigare Malkut.

Là, in Hokma, è l’origine del pensiero umano, quella è la vasca degli archetipi, massimo livello al quale il mistico può risalire di vaso in vaso. Per il cabbalista che voglia salire più in alto, come per l’alchimista disceso troppo in basso, è ad attendere soltanto la follia.

Ma le Sèfrot, come avverte il Sefer Yetzirah, sono dieci e non nove, dieci e non undici. Un’altra Sefira, ed una sola, è colei che colma dall’alto il bacino di Hokma: è Keter, la volontà di Dio, la Sorgente che sgorga dalle Tenebre primordiali, dalla notte di Tohu e Bohu d’onde fu originato il mondo.

A quelle acque lo sguardo umano non può giungere, al di sopra delle acque di Hokma nessun piede umano può posarsi, così come è scritto: “E lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”.

 

La tua Immagine (17 Dicembre 2010) 17 dicembre 2010

Filed under: AMORE e PSICHE — 1179sara @ 21:16

…la tua immagine…non avevano detto che avrei sbagliato? Non avevano detto che avresti avuto difficoltà? (…) Ti ho fatto entrare e tu me lo hai permesso; mi hai infastidito e mi hai stravolto la vita; mi hai lasciato sentire come se non avessi nessun posto dove andare..

Ora, ho ancora la tua immagine nella mia mente, e non ho mai creduto che potesse essere cosi sbagliato…oggi va cosi…con la tua immagine nella mia mente

 

Il Daimon 25 giugno 2010

Filed under: IL LATO B (dentro e fuori la Mitologia) — 1179sara @ 21:38

I filosofi rinascimentali amavano confrontare i testi di Platone e Aristotele con l’Astrologia araba con il preciso scopo di indagare su se stessi il significato spirituale del Daimon di nascita, forza misteriosa da cui ha origine carattere, vocazione e fortuna. Interpretare il Mercurio, il Sole o Marte sull’ascendente di nascita significava infatti essere predisposti ad esercitare alcuni talenti corporei rispetto ad altri, oppure certe abilità mentali rispetto ad altre. Chi invece aveva i pianeti femminili sul punto dello zodiaco dove ascendeva il sole poteva invece espandere le qualità dell’anima, ovvero percezione, intuizione e consapevolezza sensoriale, doti essenziali per diventare artisti, poeti e giullari di corte.

Oggi viviamo immersi in un mito assurdo che ci conduce inevitabilmente a fare i conti con le crisi e le malattie dell’anima. Ancora molti invidiano l’uomo- eroe che si è fatto da sé, che si è ritagliato il destino da solo con volontà incrollabile. A questo mito si è adeguata la psicologia accademica, scientista e teraupeutica che continua imperterrita a “spronare” l’individuo a cercare dentro di sé le redini per controllare il carro e dirigerlo verso il sole, incapace invece di delineare e far emergere il senso della vocazione, “quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana.”.

Il film “La bussola d’oro” ricostruisce un approccio alla Realtà che abbiamo completamente rimosso e gettato nei rovi intricati dell’inconscio collettivo dai tempi in cui Platone descrisse il mito di Er: “Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie una immagine o un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia è il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui il portatore del nostro destino.” Nella “Bussola d’oro” il daimon è rappresentato da un animale, simbolo dello spirito vitale in grado di manifestare istintivamente le peculiarità spirituali dell’anima incarnata. Ciò significa che l’anima non ricorda il motivo per cui ha scelto determinati genitori, certe caratteristiche psicofisiche o le prove che dovrà affrontare, ma che esiste comunque uno spirito-guida capace di indirizzare istintivamente l’individuo a compiere determinate scelte invece di altre.

Il mito di Er ci invita a prestare maggiore attenzione all’infanzia per cogliere i primi segni del daimon all’opera, per afferrare le sue intenzioni e non bloccargli la strada. E’ importante infatti assecondare la volontà del Daimon, simbolo dei bisogni, delle necessità e dei desideri che l’anima deve assolutamente soddisfare durante le fasi critiche dell’esistenza. Ciò significa che ogni essere ha una struttura psico-fisica , morfologica e fisiognomica, psicologica e psicoattitudinale, adatta a relizzare la vocazione dell’anima sulla terra e quindi il proprio specifico destino.

Come scrive James Hillmann, un famoso psicoanalista discepolo di Jung: “Le altre conseguenze pratiche vengono da sè: a) riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell’esistenza umana; b) allineare la nostra vita su di essa; c) trovare il buon senso che gli accidenti della vita, compresi il mal di cuore e i contraccolpi naturali che la carne porta con sè, fanno parte del disegno dell’immagine, sono necessari a esso e contribuiscono a realizzarlo”.

Una vocazione può essere rimandata, elusa, inascoltata, a tratti perduta di vista e “bistrattata”, così come fa Nicole Kidman con il proprio daimon nel film. Oppure può possederci totalmente. Non importa: alla fine verrà fuori. Il Daimon non ci abbandona. Ci sono individui costretti ad agire senza motivo, a lottare all’infinito contro il mondo e contro se stessi, fino alla fine. Come gli “orsi” del film, certi individui sono apparentemente senza un Daimon, un proprio destino, perchè non lo sentono dentro di sè. In realtà il daimon è sempre presente. A volte rimane sopito, addormentato per anni e deve essere risvegliato dal letargo (degli orsi), come nella favola della Bella Addormentata.

La favola della “Bella Addormentata” descrive lo stato millenario di assopimento della coscienza individuale e collettiva rispetto alle verità annunciate dall’immagine di nascita. Una bellissima bambina nasce nella corte del Re e subito vengono convocate le fate madrine: Temperamento/Bellezza (il segno dell’ascendente di nascita), Vocazione/Ricchezza (il pianeta sull’ascendente di nascita) e Destino/Felicità (i nodi lunari). Purtroppo la terza madrina viene dimenticata e la maledizione cade sul futuro della Principessa. Punta da un fuso all’età di quindici anni (metafora di un lavoro autobiografico che improvvisamente si interrompe nella giovinezza) l’anima si addormenta per diciannove anni (il ciclo dei nodi lunari), il tempo necessario per conquistare la sicurezza materiale, ma non la felicità evocata dall’immagine frantumata nello specchio.

La crisi dell’anima è un sonno profondo che coinvolge tutti gli “agenti della consapevolezza” (gli abitanti del castello rappresentano le qualità dell’intelligenza, della sensibilità, della ragione, ecc). Trascorso questo periodo di letargo il Daimon, nelle vesti del principe azzurro, si riaffaccia alle porte della torre e bacia per tre volte la Bella Addormentata.

Il primo bacio risveglia l’anima alle qualità evolutive del temperamento spirituale (l’animus del Gatto degli stivali). Il secondo bacio rivela i segni della vocazione creativa (la creatività di Cenerentola), mentre il terzo, rimuovendo il velenoso “mito” fondato sull’eliminazione razionale di tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione della “Bellezza e della Ricchezza” (le matrigne cattive), trasforma i sette omuncoli (i sette nani), metafora dei semi di consapevolezza che l’anima incontra nelle opere generate dall’incoscio collettivo (il bosco), in una chiara comprensione del proprio destino (il matrimonio di Biancaneve/anima psichica con il Principe/Daimon).

Dalle favole si impara una tecnica che gli artisti del Rinascimento fecero propria: l’immaginazione creativa posta al servizio dell’anima ha il potere di risvegliare la coscienza dal sonno dell’omologazione. Spesso gli artisti realizzavano opere “autobiografiche” per mantenere il contatto con il Daimon interiore, scoprendo così di ricevere da esso amore, protezione e conoscenza. A questo divino potere creativo, dionisiaco e trascendente, diedero il nome in codice di “Provvidenza Divina” (azione provvidenziale), “Tempesta” (vocazione creativa) e “Madre Misericordiosa (destino spirituale).

Velazquez: “ritratto di un nano di corte.”

Spesso i nani di corte svolgevano le funzioni sociali del “daimon”. Nel ruolo di buffoni si permettevano di dire verità che nessuno aveva il coraggio di pronunciare, interpretando così la coscienza istintiva dell’anima che osserva i difetti dipinti nei volti o nascosti nei gesti più banali. Il daimon è sempre presente, al punto che comunica con noi anche attraverso le parole di persone sconosciute che incontriamo casualmente sulla nostra strada.

 

Romeo e Giulietta-la scena del balcone 17 giugno 2010

Filed under: AMORE e PSICHE — 1179sara @ 23:47

Dante chiede a Virgilio cosa sia la Fortuna:

La ruota della fortuna in De casis viris illustribus di Boccaccio
« Colui lo cui saver tutto trascende,

[…]
ordinò general ministra e duce
che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d’uno in altro sangue,
oltre la difension di senni umani;
[…]
Vostro saver non ha contrasto a lei:
questa provede, giudica e persegue
suo regno come il loro li altri dei.
Le sue permutazion non hanno triegue;
necessità la fa esser veloce;
sì spesso vien chi vicenda consegue.
Quest’è colei ch’è tanto posta in croce
pur da color che le dovrìen dar lode,
dandole biasmo a torto e mala voce;
ma ella s’è beata e ciò non ode:
con l’altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode. »

 

Un romanzo inquietante (I demoni – Fedor Dostoevskij) 26 Maggio 2010

Filed under: Letture e pamphlet,Senza Categoria — 1179sara @ 23:42

La politica. Le idee rivoluzionarie. Il delitto. Il male e il bene e la loro distinzione. Dio e la sua esistenza. Il suicidio.

Sono solo alcuni dei temi che emergono in questo grande romanzo di Dostoevskij. A mio avviso un’opera discontinua, strana, giocata su registri diversi e, come spesso accade, su una folla di personaggi.

I Demoni ebbe gestazione complessa, l’idea iniziale risale alla fine del 1869, Dostoevskij comincia a lavorare a un romanzo intitolato La vita di un grande peccatore (pensato col titolo Ateismo già nel1868), in cui intende trattare due temi: descrivere l’esistenza e la psicologia di un uomo non comune e rappresentare l’antitesi tra i “principi autonomi russi” (ortodossia ecc.) e le idee nichiliste e distruttrici. L’opera non fu mai terminata e la svolta fu provocata dalla scoperta dell'”affare Necaev”, a cui tutti i giornali russi dedicarono ampio spazio (Dostoevskij, pur trovandosi a Dresda, li leggeva ogni giorno).

Sergej Necaev, di umili origini, autodidatta, era un seguace di Bakunin. Fanatico, aveva creato delle cellule segrete che dovevano preparare la rivolta. Un membro di una celllula però disse di volersi ritirare dall’organizzazione. Temendo che tradisse Necaev lo attirò con un tranello e nei giardini dell’Accademia agricola di Pietroburgo, insieme con altri tre compagni, lo uccise e lo seppellì. Il delitto fu scoperto rapidamente e i responsabili condannati.

Il fatto colpì molto Dostoevskij, che ci lavorò sopra e trasformò Necaev in Petr Stepanovic Verchovenskij, uno dei personaggi più infidi del romanzo, un mistificatore dalle mille parole, un personaggio abbietto, che dice di voler fare la rivoluzione, ma in fondo non crede in nulla.

Attraverso la fantasia di Dostoevskij però i fatti si dilatano e soprattutto il romanzo si arricchisce di vicende e personaggi di grande spessore, come Stavrogin e non può essere ridotto, come alcuni critici hanno fatto, ad un mero pamphlet politico antirivoluzionario.

Certamente qui i rivoluzionari non vengono presentati positivamente, appaiono spesso come figure tetre, cupe, gente che frequenta circoli intellettuali, vuoti e sciocchi, “vanitosi fino all’impossibile”, che si pavoneggiano e s’ingiuriano. Sono gente pericolosa, annoiata, stupida, che viene sottovalutata nella sua pericolosità e che farà molti danni. Da questo punto di vista il giudizio di Dostoevskij è netto, i rivoluzionari vogliono far credere di aver l’appoggio del popolo, ma in realtà non hanno nulla ed anche chi dovrebbe controllarli, come il governatore Lembke e sue moglie, è incapace di farlo e, alla fine, ridicolo.

L’inizio del romanzo ha un tono lieve, un po’ ironico e grottesco con la presentazione di Stephan Trofimovic Verchovenskij, uno scrittore della vecchia generazione, che crede d’essere rivoluzionario, un po’ridicolo e infantile, ma anche sentimentale, candido e ingenuo, leggiadro e tenero, “il più innocente di tutti i fanciulli cinquantenni”.

E’ come se Dostoevskij volesse avvicinarsi per gradi alla rappresentazione del Male e potesse farlo solo partendo da un tono lieve e leggiadro.

Lo stesso narratore del romanzo è un modesto funzionario, che partecipa alle vicende, è amico di Stephan Trofimovic e racconta tutto con ordine, dopo che i fatti si sono svolti. A volte pare non capire bene quel che accade, si crea suspence e mistero, alla fine tutto si svela e la narrazione appare distaccata, lucida, precisa, racconta i nudi fatti senza commentarli, come se non si potesse fare altro.

Il romanzo ha una grande varietà di toni e personaggi, molti punti di vista: scene grottesche, discussioni politiche, dialoghi filosofici, descrizioni di ambienti e personaggi, a volte le figure appaiono come su una ribalta

teatrale, con veri colpi di scena, oppure vi è una coralità di voci, di pettegolezzi, un’atmosfera misteriosa che poi si svela e si delinea sempre più.

Al centro di tutte le vicende, come una presenza inquietante e misteriosa, si eleva il personaggio di Stavrogin, il più profondo e il più complesso di tutti.

Fin dall’inizio si distingue per la sua cattiveria, è il male allo stato puro, è molto temuto e anche amato, sa essere violento, ma anche gelido, tranquillissimo, sorridente e “indiscutibilmente bello”. Gli altri personaggi sembrano esser fatti apposta per far emergere Stavrogin nella sua assolutezza, di lui si parla spesso con un senso di mistero o d’attesa, lui “c’é”, anche se fisicamente non appare in tutte le scene del romanzo. Stavrogin è affascinante come solo il Male sa essere, sa assumere toni deliziosi, all’apparenza gentilissimo, eppure sotto quel sorriso e quel fascino si avverte l’oscura presenza del Male, il Male compiuto per scelta deliberata e con grande tranquillità.

Scrive il narratore: “Se qualcuno l’avesse colpito sulla guancia, egli, secondo me, non lo avrebbe nemmeno sfidato a duello, ma avrebbe senz’altro, lì sul posto, ucciso l’offensore: era appunto di quelli, ed avrebbe ucciso con perfetta coscienza, e non in un momento d’esaltazione. (…) Anche con l’infinita collera che s’impadroniva talvolta di lui, poteva tuttavia conservare sempre il pieno dominio di sé, e perciò anche capire che per un omicidio non commesso in duello lo avrebbero mandato certamente ai lavori forzati; ciò nonostante, avrebbe ucciso l’offensore, e senza la minima esitazione.”

Stavrogin ha spesso uno “sdegnoso sorriso mondano”, lui – dice Dostoevskij – è “tutto”, è il centro dei Demoni, in lui troviamo il Male, le tenebre, la voluttà, il mistero, il suicidio finale, spesso emerge in dialoghi filosofici, come con Satov, che ne riconosce il fascino, ma gli dice anche che ha perduto la distinzione tra Bene e Male “perché avete cessato di riconoscere il vostro popolo…” (e per Dostoevskij l’anima del popolo russo è anche nella religione ortodossa).

Laddove lo spessore della figura di Stavrogin emerge pienamente è nel capitolo La confessione di Stavrogin o Da Tichon, capitolo che ebbe una vicenda editoriale travagliata e fu di fatto pubblicato solo nel 1922.

Stavrogin si reca dal monaco Tichon e gli fa leggere la confessione scritta dei suoi delitti, Stavrogin è, nel male, padrone di sè stesso, freddo, lucido.

Il peggior crimine commesso da Stavrogin è violare una bambina, che si impicca e lui capisce questa sua intenzione e non fa nulla per impedirlo, semplicemente attende e poi va a vedere la scena.

Il racconto che Dostoevskij ci fa è tremendo, “sembra di abitare dentro il Male” – come dice Citati (nel suo libro Il Male Assoluto)- e nello stesso tempo Stavrogin è gelido, sembra che parli di un altro e non di sé stesso, si assume tutte le sue responsabilità, senza scusanti, ma è come distaccato, straniero.

L’essenza di Stavrogin è il vuoto, l’indifferenza, una sorta di sfinimento, dal quale non lo salva neanche il Male più totale.

Nel suo dialogo con Tichon, a un certo momento, emerge il tema di Dio e della fede e il monaco osserva: “L’ateo assoluto sta sul penultimo gradino della più perfetta fede (e non si sa se lo varchi o no), mentre l’indifferente non ha più nessuna fede, tranne la cattiva paura, ed anche quella di rado, se è un uomo sensibile.”

Poi si cita l’Apocalisse, dove si parla degli annunci alle Sette Chiese, in particolare alla Chiesa di Laodicea, rifiutata perché “tiepida” e Tichon osserva che Stavrogin non vuol essere solo “tiepido”.

Divorato dal senso di colpa, Stavrogin vorrebbe espiare (tema del delitto e della pena caro a Dostoevskij), cercare un castigo, una croce, ma neppure questo è è possibile, la sua stessa confessione nasce da un atto d’orgoglio, è come “una nuova sfida improvvisa e imperdonabile alla società. C’è il desiderio d’incontrare al più presto qualche nemico.”

Stavrogin vuol essere al di là del bene e del male, fa il male per noia

e per essere superiore a tutto, ne è consapevole e lo dice, sembra che desideri farsi odiare da tutti e tutti sfida con la sua confessione.

Osserva Tichon: “…e voi siete capitato su un grande cammino, su un cammino inaudito. Ma pare che voi odiate e disprezziate già in precedenza tutti quelli che leggeranno ciò che è scritto qui, e li sfidiate a battaglia. Non vergognandovi di confessare il delitto, perché vi vergognate del pentimento?”

La grandezza di Stavrogin sta anche nella sua consapevolezza, però la redenzione è impossibile, troppa rabbia e troppo odio ci sono in questo demone. “Cioé la vostra rabbia provocherà la rabbia di rimando e, odiando, vi sentirete sollevato più che se aveste accettato la loro compassione.”

Di fatto Tichon dice a Stavrogin che manca di fede e per questo fa fatica a sopportare la sofferenza che si autoimpone.

Nonostante il monaco prospetti qualche possibilità a Stavrogin (“Se avete la fede di poter perdonare da voi stesso e di raggiungere il proprio perdono con la sofferenza in questo mondo, se un simile scopo vi proponete con la fede, è segno che credete in tutto! Come avete fatto a dire dianzi che non credete in Dio?”), la salvezza non c’é e Stavrogin si uccide.

Il romanzo però non si chiude con questa scena cupa, ma in tono più lieve, così come si era aperto, parlandoci delle ultime vicende di Stepan Trofimovic.

In sintesi, alla conclusione di una così impegnativa e lunga lettura (due volumi!) abbiamo – come osserva Citati – “l’impressione che la nostra esperienza non sia ancora compiuta” e una certa inquietudine rimane.

(dalla recensione di dooyoo)